martedì 25 febbraio 2014

Elisabetta Bucciarelli, Scrivo dunque sono


"Scrivo perchè posso sopportare la realtà solo trasformandola". Parole di Orhan Pamuk che introducono un saggio dove la scrittura è vissuta come un bene prezioso, molto di più di un escamotage per vivere altri mondi, o per imparare a raccontare se stessi. Elisabetta Bucciarelli, da sempre attenta ai miliardi di sfumature del linguaggio, si confronta - per la seconda volta, dopo Io sono quello che scrivo, uscito nel '98 - con una materia che per anni è stata centrale, non solo nel suo mestriere di narratrice, ma soprattutto nei corsi di scrittura tenuti in ogni parte d'Italia. Laboratori spesso sperimentali, capaci di spaziare nelle formule e nelle tematiche, che si sono trasformati in un patrimonio ricchissimo di esperienze, visioni, approcci all'uso della parola scritta. Scrivo dunque sono (Ponte alle Grazie, 200 pagg., 15 euro) è innanzi tutto un saggio, ma anche un libro di esercizi, un percorso attraverso gli stili dello scrivere: perchè parlare di calcio o di cibo evoca mondi diversi, linguaggi ed emozioni che quasi mai sono intercambiabili. 

Perché Scrivo dunque sono?
Ho sentito la necessità di fare il punto. Raccogliere tutte le esperienze di scrittura e restituire a chi avrà voglia di leggerle quello che ho compreso delle e sulle parole. Considero questo libro un atto d’amore e di rispetto nei confronti della scrittura. Parlo di libri, di film, di autori e di persone che hanno il desiderio di raccontarsi attraverso il linguaggio. Cerco di fornire una possibile chiave di lettura del nostro “dire” sulla pagina, in modo che ciascuno riesca a collocarsi tra le sue parole prima ancora di provare a utilizzarle per comunicare.

Hai raccolto le esperienze dei tuoi corsi di scrittura, ma si può davvero imparare a scrivere meglio?
Se si è disposti a mettere in discussione i nostri rigidi schemi sintattici e lessicali credo di sì. Sperimentare è la strada migliore, ascoltare le reazioni di chi ci legge è obbligatorio, rielaborare e insistere perché il nostro pensiero raggiunga l’interlocutore senza equivoci è un diritto. Chi frequenta i corsi è già predisposto al cambiamento, vuole innanzitutto comprendersi e poi acquisire una forza maggiore per raccontarsi. Una volta stabilito che siamo pronti inizia la caccia. Ci servono parole sconosciute e giuste per dire meglio, è il momento più bello. Saccheggiare i poeti, i cantanti, i registi, gli sportivi e i cuochi è l’atto trasgressivo che dobbiamo compiere.

Cosa ti aspetti da questo libro?
Spero che nutra il desiderio di scrivere, nel senso di incidere le parole sulla carta perché valgano di più. Che stimoli la cura verso la ricerca delle parole migliori e poi la scelta delle nostre parole, quelle che veramente vogliamo utilizzare per parlare e scrivere agli altri. Che tenga compagnia e che venga consultato dai ragazzi perché comprendano che dietro all’uso di un aggettivo o di verbo non c’è solo una performance scolastica, ma esiste un mondo e soprattutto il nostro modo unico di essere e stare in quel mondo.


domenica 16 febbraio 2014

Il cibo di oggi, le grandi abbuffate e il significato di Expo 2015


Tutti lo attendono come il grande evento dedicato al cibo, una vetrina del come si mangia oggi e del chi produce cosa. Ma il sottotitolo dell'appuntamento mondiale del 2015 è chiaro: "Nutrire il pianeta, energia per la vita". In altre parole, uno sguardo agli scenari futuri, alla valorizzazione delle risorse e alla scoperta di nuove strategie. Il tema dell'evento universale che si svolgerà tra maggio e ottobre del prossimo anno, parla di "scenari globali al centro dei quali c’è il diritto a una alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il pianeta".
Eppure, la banalizzazione ormai dominante, qualifica sempre più spesso Expo2015 come il momento in cui si parlerà di cosa finisce oggi sulle tavole italiane, di chi alleva i pesci e coltiva i frutti. Una sorta di vetrina in cui mostrare le specialità enogastronomiche di microterritori locali, con la rincorsa a divulgare presunti sistemi economici o turistici inesistenti o improduttivi. Ma non è così. Per non farsi trovare impreparati, è meglio dare un'occhiata qui, pagina ufficiale dalla quale attingere le coordinate di base (e da cui è tratta la foto che ho utilizzato). 
Nel frattempo qualcuno sta cercando di fare chiarezza, come Giacomo Mojoli, giornalista e docente universitario, attento ai meccanismi di comunicazione del cibo. "Expo non sarà un'occasione turistica: questo deve essere un prerequisito - ha spiegato in apertura di Ristorexpo, il salone erbese dell'enogastronomia che quest'anno dedica la sua edizione al tema "In cibo veritas" -. Associazioni e istituzioni, in questi anni avrebbero già dovuto costruire progetti in grado di rispondere all'offerta. Ad Expo non ci interesserà fotografare la realtà, ma prefigurare quello che accadrà tra cinquanta o settant'anni nel mondo alimentare. Non possiamo immaginare che il consumo del cibo si ripeta con abitudini o stili che abbiamo presenti oggi. Tutto questo cambia ogni settimana. La sfida futura è fare i conti con l'innovazione, servono educazione e formazione, crescita culturale dei territori". 
La cultura, più di ogni altro aspetto, è un tema fondamentale, premessa di ogni prospettiva: "Nell'alimentazione, e soprattutto nella ristorazione, non esiste futuro se non facciamo crescere i consumatori, se non incrementiamo le loro conoscenze e competenze - prosegue Mojoli -. In tutto questo, sempre di più il cibo diventerà lo strumento per leggere l'evoluzione sociale e culturale di un Paese". 
Expo non sarà quindi una manifestazione turistica, ma il momento in cui si parlerà dell'equilibrio alimentare del pianeta, del rispetto per l'ambiente come premessa alla sostenibilità delle risorse, e della valorizzazione della biodiversità, fattore determinante destinato ad avere sempre di più un ruolo centrale, ad ogni livello. Anche locale. "Lago e montagna - conclude Mojoli - sono giacimenti storici e culturali. Expo sarà un'occasione per immaginare connessioni e progetti che abbiano attinenza con tutto questo". 
Pensado al pianeta, ascolto questa.



domenica 9 febbraio 2014

Il momento del baccalà


Giallo: millefoglie mantecato con polenta
Mi piace molto. Moltissimo. Da tempo aspettavo di fare un corso che mi regalasse qualcosa di bello sul baccalà, per potermi destreggiare dopo aver appreso un po' di tecnica e qualche utile consiglio. Finalmente è arrivato, organizzato su misura nel nostro ormai personalissimo e imperdibile tour a domicilio. Una chef a domicilio, un tema e una cucina diversa per ogni appuntamento, una volta al mese. Case di amici, un aperitivo finale che diventa festa. Questa volta è toccato a lui, uno dei miei cibi preferiti. Ricette e colori in bianco e nero: quattro declinazioni tra tecniche e fantasia. Mantecato e cotto a bassa temperatura in extravergine, in padella e al forno. Verde, giallo, bianco e nero. Occasione per semplificarlo, valorizzarlo, accorciare le distanze. Parte tutto dal merluzzo, diventa baccalà messo sotto sale e stoccafisso esposto all'aria, pronto a riprendere ogni equilibrio quando viene immerso nel suo elemento, l'acqua.

Nero: baccalà al burro nero
Bianco: cotto a bassa temperatura con patate
Ovviamente c'è una bibliografia di riferimento, la mia personale, scelta tra le decine di titoli dedicati a cottura, storia e preparazione del baccalà. Eccola qui, compresa la dispensa della chef Federica Camperi:


 Mentre lo cucino ascolto questo.