mercoledì 22 dicembre 2010

Passeggeri

Fotografie di Annalisa Sonzogni
L'essenzialità si replica infinite volte, in un gioco modulare e di rimandi che non ci si stanca di scoprire. Basta anche solo un passo per cambiare la prospettiva, ribaltare un'architettura, trovarsi davanti alla cupola del Duomo, come se all'improvviso fosse calata al centro di Palazzo Terragni. Annalisa Sonzogni, con la mostra Passeggeri, è la prima artista ad aver conquistato gli spazi del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Como, grazie a un lavoro fotografico che parte dall'architettura essenziale e modulare della Ex Casa del Fascio, palazzo progettato dal razionalista Giuseppe Terragni negli anni Trenta.


Undici fotografie di grande formato - 200x160 cm, montate su pannelli mobili - si alternano a superfici a specchio, creando un gioco di false profondità e di movimenti fuori campo, come quelli dei militari che attraversano l'atrio o percorrono i ballatoi del palazzo, entrando a intermittenza far parte dell'installazione. Il grigio delle divise si armonizza con le sfumature dei vetri, delle pareti, di un insieme virato al neutro assoluto. Così la geometria immobile e autorevole dell'edificio, si presta a giochi che la stravolgono, come la fotografia che ritrae il Duomo dall'interno del palazzo, e lo avvicina a chi guarda grazie al millimetrico gioco di specchi.


Anche il vetrocemento, all'interno delle fotografie diventa un modulo infinito, che crea movimento rispetto al rigore delle pareti progettate da Terragni. Soprattutto le fotografie ritraggono sorci dei piani superiori o delle terrazze, spazi che ormai da anni non sono aperti al pubblico e che si intuiscono, parzialmente, solo con l'osservazione esterna dell'edificio.


Il risultato è divertente e curioso, pur in linea con il rigore di uno dei palazzi più interessanti e attuali dell'architettura comasca. Nata come mostra temporanea a inizio dicembre, la mostra - curata da Christian Galli con la consulenza di Giovanni De Francesco - è diventata ora una installazione permanente, affacciata su Piazza del Popolo.



mercoledì 8 dicembre 2010

Abitare con i libri


Quando ho visto il titolo, era matematico che lo avrei comprato. Perché nonostante i processi di epurazione e alleggerimento degli scaffali, di questa maniacalità non mi libero. Abitare con i libri di Leslie Geddes-Brown (Mondadori, 158 pagg., 29 euro) è un volume fotografico, ma anche un po' voyerista. Già, perché una parte del suo senso (o forse del mio, quello che mi ha spinto a comprarlo) è sbirciare nelle case degli altri e vedere come tengono i libri. Innanzi tutto quanti ne hanno, e poi come li hanno sparpagliati in giro per le stanze in cui vivono, dormono, lavorano, invitano gente. Osservare se sono essenziali o ridondanti, se preferiscono il design o l'utilità. Se vogliono essere originali ad ogni costo. Da questo punto di vista, Abitare con i libri regala una discreta soddisfazione, anche se gli interni sono selezionati e curati, tutto in ordine e ogni dettaglio pensato. Del resto questa mia soddisfazione nello sbirciare è niente se si pensa che trovo normale fermarmi davanti alle vetrine delle agenzie immobiliari per guardare le foto degli interni delle abitazioni in vendita, e poi immaginarmi la gente che vive lì dentro, che si siede sui divani di quel colore, o a cui piacciono i quadretti boschivi appesi al muro. Quasi ogni volta mi tocca prendere atto che non c'è nemmeno una mensolina libraria. Zero.
Ecco perché l'altro aspetto che trovo bello di questo libro, è vedere che da qualche parte c'è un buon numero di persone che in casa accumula tonnellate di carta, che ha letto molto e che dai libri non si separa, che li considera parte integrante della propria esistenza, che ha concepito lo spazio in cui vive come un luogo in cui devono esserci anche i libri. E' sempre un pensiero che conforta. 
Così anch'io ho chiesto agli amici di mandarmi una foto della loro libreria. L'angolo preferito, quello a cui si è più affezionati, il più bello. Sapevo che sarebbero state tutte diverse, che avrei creato un insieme divertente, curioso, che racconta molto di ognuno. Una serie di autoritratti, a loro modo. Questa è una gallery in progress, chi invia uno scatto sarà inserito con grande piacere.


mercoledì 1 dicembre 2010

I miei luoghi

Questa è una lista. Dei posti a cui sono affezionata, in cui mi piace andare anche per non fare niente. Dei superbar in cui bevo il mio cappuccino del mattino, che è forse l'unica cosa che non salto mai. O dove compro cioccolato. Dei ristoranti in cui mi sono divertita guardando nel piatto. E' una lista concentrata in spazi privilegiati, ma anche in evoluzione. Soprattutto è una lista dei momenti in cui si può stare bene anche da soli.

In alto da sin Charlie bar Casatenovo, Al teatro Erba,
C-Caffè Cassago Brianza.
Il Charlie Bar a Casatenovo è uno dei miei posti da anni. Potrei dire che è il mio posto in assoluto, quello del cappuccino perfetto, dell'uso ufficio quando devo fare chiacchierate lunghe, del panino di emergenza per gli scrittori che non hanno cenato prima dell'incontro, del cosa succede in giro e del chi apre e chi chiude. Al teatro a Erba: a questo bar sono affezionata per un'amicizia fraterna, per alcuni momenti passati lì dentro che non mi dimentico, perché la colazione è una vera colazione con le torte, le brioches mini e maxi e i giornali, e perché mi sento sempre un po' a casa. Il C-Caffè è il luogo della celebrazione del cioccolato, con la produzione a vista di praline e tavolette, i blend che uniscono sapori facili e amari che sono una sfida, le confezioni di creme e marmellate ordinate, pulite, essenziali. Belle. 

Herbert Hintner in cucina da Zur Rose
La lista dei ristoranti inizia con Zur Rose, il ristorante di Herbert Hintner ad Appiano sulla Strada del Vino, dove ho cenato al tavolo in cucina, due posti nell'angolo per vivere il via vai della brigata governata come un esercito, con gli ordini gridati in tedesco, il risotto da rifare, il tocco finale dello chef prima di mandare il piatto in sala. Guardi e ordini, vedi come si prepara e chiedi di assaggiare. Vorrei rifarlo, prima o poi. Più vicino, mi piace andare a La Rimessa a Mariano Comense: è una garanzia da sempre, perché lo chef, Sergio Mauri, lavora con vera onestà, da ogni punto di vista. Mi piace andare a La Piazzetta di Montevecchia: tranquillo, luminoso, piatti che sono sempre un piacere, un bella vista dalla terrazza. Con la mia amica preferita vado allo Zen di Milano, il nostro giapponese che è anche qualcosa di più. Ci piazziamo al banco, davanti ai piattini colorati che scorrono: li osserviamo ormai allenate alla cattura, per accaparrarceli prima che se li prendano altri. Il posto strategico è nell'angolo in fondo, quando il nastro trasportatore esce dalla cucina, prima che faccia il giro. Così cerchiamo subito la frutta esotica che abbiamo ribattezzato con i nomi nostri, i ravioli ancora caldi, i sushi artistici. Intanto parliamo, di tanto e di tutto. Di certe cose che in quel modo ci raccontiamo solo lì, con il tè verde nella tazza. Ho fatto centinaia di chilometri per mangiare da Uliassi di Mauro Uliassi e alla Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni a Senigallia, e poi li ho rifatti quei chilometri per mangiare ancora lì. Mi sono divertita a Le tre galline di Torino, che ha un carrello dei formaggi come se ne vedono pochi. Mi sono molto divertita anche da Baldin a Genova Sestri Ponente, perché tutto ha forme diverse da come dovrebbero essere. Parizzi a Parma vale una deviazione mentre si attraversa l'Italia, io l'ho fatto un paio di volte, e lo rifarei. 

Da sin in alto Parco di Montevecchia in tre scorci,  e Parco della Valletta
Al Parco di Montevecchia vado meno di quanto vorrei, ma ci vado appena posso. Ho individuato i posti comodi per leggere, per fare il pic nic (inviti ristretti, massimo due persone), per mettere a terra una coperta e rimanere qualche ora sotto un albero o tra i vigneti. Si sta davvero bene, è una delle mie mete dell'estate, ormai esplorato un pezzo alla volta. Più piccolo - anzi, quasi invisibile nell'economia dei parchi lombardi - è il Parco della Valletta, curato da un gruppo di combattivi volontari che hanno creato percorsi, cercato e studiato insetti e fiori, censito gli alberi. Anche qui ogni tanto gironzolo.

Da sin Lago di Annone e Lago del Segrino 
Sui piccoli laghi vado quando non c'è nessuno. In settimana o fuori stagione. Li guardo, faccio qualche foto. Oppure rimango lì e non faccio niente per una manciata di minuti. Due passi girando attorno, come al Segrino. Oppure mi fermo un po' su quelle spiagge che quando arriva il caldo sono inavvicinabili. Quella di Annone, per esempio, che ogni volta penso che la faranno affondare tutti ammassati a centinaia, e non rimarrà più niente. Invece resiste. Aspetto che se ne vadano tutti, quando finisce l'estate, e poi torno a guardarla.

Ci sono poi i posti degli acquisti. Per il tè in via Odescalchi a Como c'è Tea Worl Shop, e qui trovo tutto: neri, verdi, olong, aromatizzati, bianchi, 50 o 100 grammi. Le teiere giapponesi e quelle trasparenti, i filtri. Poi c'è la spesa buona e divertente. I vini dell'azienda La costa di Perego o Santa Croce di Missaglia, i formaggi di Raffaele Maggioni a Montevecchia, o quelli di capra di Capricio a Cernusco Lombardone. Le farine del Mulino Cazzaniga di Missaglia, dove c'è anche il miele.
Potrei continuare, ma questa lista mi sta prendendo la mano. Mi fermo qui.