martedì 22 giugno 2010

Alvaro Molteni, Opere 1939-1952

L'essenza e la purezza stanno in una linea. Nera, soprattutto, ma anche bianca nel saltuario tentativo di staccarsi da un elemento forte e condizionante. Inquietante, a volte. Alvaro Molteni ha attraversato quasi un secolo di astrattismo, lo ha vissuto con dedizione assoluta, cercando di fare proprio il segreto che conduce alla capacità di togliere, di lavorare per sottrazione e arrivare a ciò che sta al centro del fare arte. Per i suoi 90 anni, l'artista - che ha fatto parte del Gruppo Como, studiando da Aldo Galli, Manlio Rho e Carla Badiali, e che ha sfiorato la Biennale Futurista del 1942, escluso all'ultimo perché troppo giovane - si racconta attraverso quattro personali che saranno allestite nel corso del prossimo anno. La prima, allo Spazio 2A di via Diaz 52 a Como, rimane allestita fino al 12 settembre e raccoglie una selezione di quindici opere realizzate tra 1939 e 1952. L'indirizzo, che si consoliderà negli anni successivi in un astrattismo puro e quasi impenetrabile, in queste opere mira già all'essenziale ma sperimenta ancora alcune morbidezze: nella varietà del colori, nelle sfumature degli sfondi o in qualche momento figurativo. 

Alvaro Molteni all'inaugurazione della mostra

Composizione, 1941

Ben presto il colore dominante di Molteni diventerà l'azzurro, in antitesi al non-colore bianco, unico a poter rappresentare il vuoto che dà un senso e un luogo alla forma. Gli elementi all'interno dell'opera diventano man mano i protagonisti di quel processo di epurazione, alleggerimento e pulizia attorno al quale si concentra la difficile e affascinante arte astratta dell'artista comasco, la cui ultima rinuncia è per i titoli: "Non voglio condizionare chi guarda" dice, ma soprattutto è una pretesa di attenzione, di sforzo mentale da parte di chi si ferma davanti all'opera, obbligato a una comprensione che non concede nessun aiuto. 

Composizione XIV, 1944

Anche le geometrie, già pure ed essenziali per definizione, sono destinate a diventare simboliche. Rappresentate da poche righe, da colori ricorrenti e basici. Con un obiettivo di equilibrio ma anche di sconcerto che non si può evitare davanti alla riflessione su tutto ciò che apre uno sguardo sul vuoto. 

Sintesi, 1943


Sintesi, 1944

Il lavoro di Alvaro Molteni arriverà a concentrarsi in una riga nera. Elemento minimo che impiega decenni a concedersi anche altre tonalità, ma non perde la decisione della forma, il suo ruolo di definizione di un campo e di uno spazio. Un quadrato rosso, qualche breve linea bianca: all'estetica non serve altro per raggiungere la sua pienezza. Un campo azzurro netto e deciso. Nobile, indipendente, esibito.


sabato 12 giugno 2010

Heike Arndt, Where is home?

"La cosa veramente importante è capire dove stai tu nel mondo, e cosa sei. Devi capire cosa puoi fare davvero. Smetterla di dare la colpa agli altri per qualsiasi cosa, perché non serve. Devi metterti sempre al centro". Heike Arndt (nella foto sopra, davanti a "Amici", olio su tela realizzato in Danimarca tra 2000 e 2005) lo cerca da sempre questo punto centrale in cui collocarsi. La sua casa. Se ne è andata dalla Germania Federale a poco più che ventenne, ha vissuto in Danimarca, Groenlandia, Italia, Cina, Etiopia, America del Sud, Svezia, Finlandia, Spagna. Oggi ha 47 anni, e quando si chiede dov'è la sua casa, ha ormai trovato molte risposte. Se le porta dietro. Ogni volta che smantella il suo studio per trasferirsi in un altro luogo, incontrare una lingua diversa e nuove temperature a cui abituarsi. Avvolge le tele, ripone con cura i piccoli bronzi e le ceramiche, si chiude alle spalle un pezzo di esistenza, e si prepara all'incontro con un altro luogo. L'ampia mostra Where is home? inaugurata oggi al Museo di Arte Contemporanea di Lissone (aperta fino al 10 ottobre, curata da Luigi Cavadini) è un susseguirsi di suggestioni altalenanti che si legano fortemente ai luoghi in cui sono nati questi lavori.

Inchiostro su carta di riso (Cina, 2005-2009)

Sono tutte parentesi strettamente legate. I bozzoli neri e minuti delle piccole donne cinesi. Lo spazio dell'intimità chiuso e ristretto della Groenlandia, una grotta dove rimangono solo i vuoti di bottiglia e una luce faticosa. Quasi sempre il colore forte si prende spazio nelle opere di Heike Arndt, retaggio di un espressionismo tedesco con cui ha convissuto fin dai primi anni, che si impone sopra qualsiasi altro volere. Eppure il paesaggio si sente fortemente nelle sfumature di queste opere, nei carichi e nelle rarefazioni, nella sofferenza di alcuni volti. Nella ricerca di aria.

Veduta (Olio su tela, Danimarca 1995-2006)

Il bronzo prende la forma di un piccolo uomo pensante, emotivo, dalle espressioni mute ma decise. Oppure di primitivi mezzi di trasporto che si possono smontare come giocattoli, per improvvisarsi viaggiatori. La pietra diventa casa essenziale, chiusa, scura.

Da sin Attento, Ascoltare, Rilassato (Bronzo, Cina, 2007)

Mouve (installazione bronzo, 9 pezzi. Cina, 2007)

Dolce casa (installazione pietra, 4 pezzi, Cina, 2010)

Ogni opera è un "bagaglio", un pezzo di qualcosa che ci si porta dietro, che non ha solidità se non nelle emozioni e nel ricordo. Un bimbo avvolto in fasce che nascondono il volto, un animale che faceva parte del nostro quotidiano. Diventa una forma, una rievocazione. Forma la casa in cui ognuno di noi mette se stesso al centro del mondo, ovunque sia.

Bagaglio VIII (olio su tela, Cina, 2006-2007)

In primo piano Bagaglio I (bronzo, Cina, 2007). Sullo sfondo 
da sin Bagaglio 2, 4, 10, 6 e 5 (olio su tela, Cina, 2006-2007) 

In primo piano Bagaglio VII (olio su tela, Cina, 2006-2007).
A seguire Fiducia (olio su tela, Cina, 2006-2007)


giovedì 10 giugno 2010

In giro sull'Appennino tra Lerici e Carpineti


Partendo da Milano, la deviazione verso Lerici, provincia di La Spezia, non è la strada più veloce per raggiungere Carpineti, provincia di Reggio Emilia. I 180 chilometri del collegamento diretto diventano 350, ma si può fare. Di sicuro è uno dei percorsi più gradevoli e ricchi di vantaggi secondari che una volta ogni tanto ci si può concedere. La spiaggia di Lerici in un mercoledì di giugno, per esempio: un paio d'ore ritagliate a metà pomeriggio, affollamento minimo e vista sul golfo. Un acquisto veloce di testaroli prima di affrontare l'Appennino Tosco Emiliano, direzione Carpineti e il festival Duemiladieci, per il gemellaggio con La passione per il delitto. La statale che si incrocia a Aullia percorre un centinaio di chilometri, inoltrandosi nel Parco Nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano, e sale fino a circa 1100 metri con uno sbalzo termico di almeno una decina di gradi, per poi ritornare ai 500 delle terre canossiane, sul versante opposto. E' un paesaggio bello, intonso, attraversato da quell'unica strada e solo raramente intervallato da abitazioni, spesso fatiscenti e fortemente rurali. Non è una strada da passo veloce: quasi un paio d'ore occorre metterle in conto, ma non ci si annoia. Poco prima dell'arrivo a Carpineti si scorge in linea d'aria la Pietra di Bismantova a Castelnovo ne' Monti: forma strana, imponente e inquietante, come lo è diventata la sua storia in tempi recenti. Devo tornare per vederla da vicino. 


A Carpineti tappa per lo gnocco fritto (ci sono andata anche per quello...) poi si sale verso ciò che rimane del Castello delle Carpinete, con una parte trasformata in piccolo bed&breakfast, giusto un paio di stanze. Verso l'anno 1000, quando fu realizzato, era uno dei più grandi di questo tratto di Appennino, dimora di Matilde di Canossa in guerra con Enrico IV, non a caso collocato in posizione strategica che permette di vedere a decine di chilometri. Ha ospitato anche diversi papi, a partire da Gregorio VII nel 1077, motivo per cui la torre principale era dotata di un particolare confort aggiuntivo: una toilette che impediva ai nobili ospiti di dover raggiungere il bosco nel momento del bisogno. Oggi il castello è solo apparentemente disabitato: pare che sia dimora del fantasma Amorotto, che ogni tanto disturba i visitatori con folate di vento la cui intensità aumenta con l'antipatia che prova verso chi entra nel castello. Lui si chiamava Domenico de' Bretti, è vissuto all'inizio del 1500 e faceva il brigante, uno dei più temuti tra modenese e Garfagnana. Io, durante la serata di Duemiladieci, l'ho appena sentito: la mia presenza non era sgradita.






lunedì 7 giugno 2010

Pietro Spirito, L'antenato sotto il mare


C'è il brigantino Mercurio, affondato nel 1812, quando Napoleone si giocò il controllo dell'Adriatico. Poi ci sono il piroscafo Baron Gautsch, la corazzata Wien, minisommergibili tedeschi e un bombardiere americano. Sta tutto lì sotto, nel Golfo di Trieste, protetto da qualche scoglio e da decine di metri cubi di acqua di mare. Quello di Pietro Spirito in L'antenato sotto il mare (Guanda, 197 pagg., 15 euro) è un viaggio nei segreti quasi inarrivabili, circondati da leggende e da un incalzare del tempo che li trasforma con grande velocità, li disperde, li ammanta di soggezione. I relitti che popolano il fondale di questa punta di Adriatico, raccontano i secoli e la storia, le battaglie e le ambizioni di conquista, i popoli che si sono incrociati in questi luoghi dall'epoca romana fino alla soglia della Mitteleuropa. Pietro Spirito si è calato in tutto questo, si è lasciato contaminare dalle visioni e conquistare dai simboli, e lo racconta.

Che relitti troviamo in questo viaggio in immersione?
Non sono relitti famosi, e ne racconto la storia con una metafora di fondo: quella del naufragio, di ciò che all'improvviso precipita. E' una realtà senza più bussola, che trascina con sé il rischio di perdere tutto. Tutto questo è racchiuso nell'idea del relitto, perché noi viviamo in mezzo a relitti e fantasmi, anche se scriviamo sempre del nostro presente, cercando di mettere a fuoco le cose dell'oggi. Viaggiare sott'acqua  obbliga a calarsi in una dimensione che ubbidisce a proprie leggi di spazio e di tempo, e che favorisce le visioni. In questo libro ho lavorato molto su questa visionarietà, unita alla valenza del simbolo. 

Cosa si vede sui fondali di Trieste?
Dieci anni fa è stato trovato un brigantino del Regno Italico, affondato nel 1812: è un vascello archeologicamente molto interessante, ci sono ancora i corpi dei marinai con sciabole e pistole. Si ha l'impressione di essere lì con loro, di vedere e sentire questa storia. C'è poi un piroscafo austriaco, il Baron Gautsch, che nel 1914, allo scoppio della guerra, trasportava i primi profughi: urtò una mina e affondò. Fu come un piccolo Titanic dell'Adriatico. Oggi è a 40 metri di profondità, ancora in perfetto assetto di navigazione. Partendo da qui racconto la storia di una ragazza ungherese dei nostri giorni, che vuole immergersi alla ricerca di questo piroscafo, perché qui sopra suo nonno aveva la sua fidanzata, che non arrivò mai a Trieste e che lui continuò ad aspettare. 

Cos'altro di trova di strano in fondo al mare?
C'è anche un aereo. Un B52 della Seconda Guerra precipitato davanti a Lignano, non si sa esattamente come. In questo relitto c'è un simbolo della specularità cielo-terra, l'idea del capovolgimento. Pensare a quanti di questi aerei sono finiti in mare, mi rimanda all'attesa infinita delle tante persone che ancora oggi aspettano qualcuno che non è tornato a casa. 


venerdì 4 giugno 2010

Carlo Lucarelli, Il brigadiere Leonardi


Giovane e prestante, il brigadiere Leonardi sta al Nucleo Operativo di Ravenna. Attraversa il drammatico e l'incredibile, raccoglie confessioni inaspettate. Quasi da spettatore di una realtà di cui diventa catarsi. Il personaggio creato da Carlo Lucarelli nel 1992 e protagonista di una serie di sette racconti, scritti per il settimanale ravennate Qui negli anni di esordio del noir in Italia, si è ora trasformato nei fumetti raccolti nel libro Il Brigadiere Leonardi (Edizioni Bd, 160 pagg, 15 euro). Cinque sceneggiatori - Stefano Ascari, Diego Cajelli, Luca Crovi, Giuseppe Di Bernardo, mauro Smocovich - e sette disegnatori - Vanessa Belardo, Giacomo Bevilacqua, Matteo Cremona, Federico Giretti, Giorgio Pontrelli, Andrea Riccadonna e Toni Viceconti -  hanno ripreso le suggestioni di quei racconti, dato un volto a quel personaggio dai capelli neri e un po' lunghi, trent'anni portati da combattivo, la divisa lasciata nell'armadio. Qualche storia riemerge dal passato, coscienze che si liberano dopo anni e rivelano delitti che rischiavano di rimanere perfetti. Matrimoni dell'assurdo, inseguimenti nei sottoboschi di una città che non permette di arrivare in tempo per evitare la morte, un po' di investigazione-ossessione. Alla fine Leonardi rimane solo, immobile e silenzioso, a cercare il peso di ciò che ha vissuto. 


mercoledì 2 giugno 2010

Seven. 21 storie di peccato e paura

Piacenza, Duomo

Seven sono i sette peccati capitali. Le 21 storie sono altrettanti modi di interpretarli, di osservarli. Di leggerli. Tre autori per ogni peccato, selezionati da Gian Franco Orsi,  saggista e curatore editoriale tra i più apprezzabili in Italia, riuniti nell'antologia edita da Piemme (402 pagg., 19 euro). Un tema non nuovo e con il quale - inutile dirlo -  oltre alla narrativa si sono confrontati cinema, arte, musica, tutti a partire da un punto di riferimento imprescindibile, la Bibbia. Inediti sono però gli spaccati a cui sono arrivati i ventuno autori scelti strada facendo, uniti in un progetto comune - l'antologia di racconti - che in Italia non ha mai goduto di eccessive fortune, ma che in questo caso vale il viaggio in libreria. Un bonus anche per la copertina, inedita e azzeccata, un'ottima premessa all'atmosfera del libro. In ordine di apparizione, partendo dall'accidia per arrivare alla superbia, troviamo tra gli altri i nomi di Elisabetta Bucciarelli, Diana Lama, Giuseppe Pederiali, Alfredo Colitto, Valerio Varesi, Giancarlo Narciso, Alan D.Altieri, Alessandro Perissinotto con Carlotta Givo, Andrea Vitali. Stanze maledette di alberghi a ore, una cena delle beffe che viene capita troppo tardi, l'indolenza di uno scrittore e la frenesia del suo agente, la disillusione e depressione di un insegnante di scuola superiore, l'invidia per un rapinatore e il suo coraggio, l'abbandono di un uomo troppo bello per farsene una ragione, l'ignoranza radicata di un ripetente per convinzione.