domenica 30 maggio 2010

Lella Costa a Duemiladieci


Carpineti-Reggio Emilia, terre di Matilde di Canossa, giornata d'esordio della prima edizione del festival Duemiladieci. Lella Costa, intervistata da Elisabetta Bucciarelli, si racconta attraverso il teatro, l'ironia, la televisione, la famiglia, qualche rammarico per una città, Milano, che meriterebbe qualcosa in più. Il suo ultimo libro, La sindrome di Gertrude (Rizzoli, 246 pagg., 18.50 euro) è "quasi" un'autobiografia: racconta e divaga, non sceglie la strada della scansione cronologica a ogni costo, ma piuttosto quella di un affresco fatto di luoghi, persone, episodi. Di passioni e di abiti, quelli di Antonio Marras, lo stilista che da anni la avvolge in tessuti impalpabili e colori morbidi. La sindrome di Gertrude "colpisce soprattutto le donne - sostiene Lella Costa - ed è quel meccanismo che ti spinge a dire di sì anche quando sarebbe stato meglio fare il contrario. E' una tendenza compulsiva e a tratti patologica che impedisce di valutare con attenzione le conseguenze. Non comporta necessariamente sventura, ma qualche volta forti ripensamenti". La conversazione, spazia e si allarga, il teatro prende la forma dei libri che sono, inevitabilmente, una sintesi e una suggestione di ciò che da anni avviene sul palco. Come Amleto, Alice e La Traviata (Feltrinelli, 189 pagg., 8 euro), spettacoli replicati centinaia di volte nei teatri di tutta Italia. 

Perché la scelta di un teatro di narrazione, unica donna in Italia a percorrere questa strada?
Oggi ha una funzione che va al di là di ciò che si era pensato e voluto. C'è qualcosa che non va in un paese in cui la memoria del fatti storici e tragici è affidata ai comici, e dove attori, scrittori giornalisti hanno coperto un vuoto: io sono molto fiera di poter fare questo. Tempo fa mi hanno chiesto di fare un intervento in occasione dell'anniversario dello sbarco sulla Luna, nel 1969, e mi sono resa conto di non ricordare quasi nulla di quel momento, ma di avere un ricordo molto vivo della strage di piazza Fontana, avvenuta quello stesso anno. Oggi il dramma è che ci siamo abituati a tutto, anche a meccanismi agghiaccianti come quello che ci spinge a considerare meno grave di altre una strage che ha prodotto pochi morti. 

Qual è l'importanza della parola in questo momento? 
C'è una svendita dei significati delle parole. Abbiamo peccato di superficialità e prodotto una caduta dell'attenzione, al punto che certe espressioni fondanti del linguaggio sono diventate titoli di trasmissioni televisive, trasformate in slogan e private del loro senso originario. Tendiamo sempre di più a dare valenze gergali a ciò che diciamo, usiamo i termini in modo approssimativo, ma quando ti trovi in situazioni in cui tutto il resto non esiste, come il carcere, capisci che è l'unico strumento importante che ti rimane, e che devi trattarlo bene. Da questo punto di vista, il contatto con i detenuti e con la loro privazione della libertà, mi ha fatto riflettere molto. Sono situazioni in cui impari che ogni parola deve avere un significato preciso, esattamente il suo e non un altro, senza sbavature, incomprensioni o possibilità di fraintendimenti. Questo, però, non ha a che fare con il fatto che non scrivo narrativa: il motivo, in questo caso, è che sono convinta che non si possano ormai più inventare nuove trame. E' bastato un personaggio come Shakespeare a raccontare tutto quello che serve. Io ho bisogno di qualcosa che duri di più rispetto all'attualità: i classici sono questo. Quando leggi le loro strie, capisci che c'è qualcosa che ti riguarda e ti viene voglia di raccontarlo. Allo stesso tempo ti accorgi che nessuno li conosce davvero, e tu stessa scopri cose che non sapevi: Amleto per me è stato questo. 

Come si fa oggi ad allenare l'ironia?
Si fa fatica, soprattutto di questi tempi. L'ironia è l'attitudine che ti permette di cambiare il tuo punto di vista sulle cose. Se sai che non puoi cambiare le situazioni, almeno cerchi di avere uno sguardo diverso. Soprattutto è un modo per essere un po' meno concentrati su se stessi. Io amo molto l'autoironia, mi ci metto sempre per prima nelle cose che racconto. Una parte del senso dell'umorismo, quello più lieve e sobrio, mi arriva da Milano, dal suo saper essere città dalle bellezze nascoste con una sua discrezione, ma con molta forza. 


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