venerdì 13 novembre 2009

Sigrid Verbert, Il libro del cavolo


Non è un saggio monografico su un ortaggio, e nemmeno un'opera di poco conto. E' un libro di cucina, di fotografia, di cultura alimentare e di fantasia. L'autrice si chiama Sigrid Verbert, belga trapiantata in Italia assieme a tutte le sue passioni, ma la rete la conosce come Il cavoletto di Bruxelles, uno dei blog gastronomici in assoluto più raffinati, sintesi del connubio tra cibo, estetica e cultura. Lo seguo da anni, perché è svincolato da ogni filo conduttore che non sia la bellezza e la bontà di una preparazione. Ora ha realizzato un libro di cucina, che nasce dal lavoro fatto in questi anni: non è il suo primo titolo, ma certamente il più bello: Il libro del cavolo (Cibele editore, 256 pagg., 28 euro), non si trova facilmente in libreria, ma si può ordinare attraverso il sito di Sigrid. In dieci capitoli fa il giro del mondo, passa tra i panini e l'ora del tè, racconta le suggestioni e le preparazioni. Le sue ricette ti viene voglia di mangiarle proprio così, negli stessi piatti in cui li fotografa lei, come se spostarle da un'altra parte significasse fargli perdere un pezzetto di anima.

E’ nata prima la passione per la fotografia, per il cibo o per internet?
Probabilmente quella per il cibo. Il rapporto con la fotografia è più lungo e complesso - mio padre era fotografo, ha cambiato mestiere quando sono nata e mi ha sempre molto incitato a non fotografare, ma nel contempo vivevo in mezzo alle sue foto, raccoglievo le sue dritte... -, mentre da quando ho iniziato a interessarmi di cucina, dieci anni fa, poco dopo aver incontrato l'allora fidanzato ora diventato mio marito, non ho veramente mai smesso di cucinare, sperimentare, imparare. Poi, con il blog, anche la fotografia si è inserita nell'interesse per la cucina, anche se dopo l'ha superato... Una vera e propria passione per internet invece, credo che non ci sia mai stata... Mi ha incuriosito il media blog e ho iniziato a usarlo, e trovo stimolantissimo, tutt'ora, anzi sempre di più, le possibilità e le forze del mondo internettiano. Detto questo però, sono profondamente affezionata e alla ricerca del lato umano delle cose, gli sguardi, i gesti, le parole, per cui non potrei vivere solo in rete, e non sono una geek!

Quali sono le ricette più fotogeniche?
Hmm... beh i dolci in generale tendono a essere molto sexy, sono golosi, voluttuosi, parlano di tabu, seducono, quindi si, decisamente i dolci e in particolare i dolci che prevedono salsine di cioccolato o caramello... okay okay, la smetto, sto scivolando nel foodporn... A me piace moltissimo fotografare anche la pasta, specialmente la pasta lunga. Assolutamente non fotogenici invece sono, spesso, le insalate: presentarle bene richiede un sacco di lavoro preparatorio. Poi le carni, ma forse è semplicemente perché non mi fanno impazzire come cibo quando mi calo nel ruolo di mangiatrice, quindi faccio anche fatica a renderne il fascino che non percepisco.

Con “Il cavoletto di Bruxelles” e con i libri che hai pubblicato in questi anni, hai contribuito ad alzare il livello del legame tra cibo, estetica e professionalità, anche dal punto di vista mediatico. Quali esempi hai seguito, e in cosa ti senti di aver fatto scuola?
Sinceramente non saprei se ho contribuito ad alcunché, davvero. Però posso dirti chi sono stati i miei guru... Anzi, vorrei anche premettere una cosina, perché ogni tanto sento, oppure ho sentito, cose del tipo "Ah sì, ma questo o quella non fa che imitare tizio o caio ecc...". Ecco, io non penso affatto che si possa imitare chicchessia: la foto, come qualsiasi altro impegno artistico, è questione di sensibilità propria, di attrazione fisica personale. Quindi penso che si possa imitare, ma sono degli esercizi di stile, a volte anche salutari, e non delle ricette di vita. Per quanto mi riguarda, sono cresciuta con i libri di Donna Hay, e per me rimangono ancora oggi degli esempi di foodstyling praticamente insuperabili. Ma poi a tutti gli effetti io non sono Donna Hay e quindi non è quello, esattamente, che vorrei fare... a parte chiaramente che ne sarei incapace... Mi sono nutrita moltissimo anche della scuola Gourmet, e del lavoro di fotografi come Roland Bello, Romulo Yanes, Con Poulos e David Loftus, che hanno tutti in comune una forte attrazione per il realismo nella fotografia di cibo. Un realismo sdoppiato di un accurato e millimetrico foodstyling, nel senso che tutto ciò che sembra spontaneo in generale non lo è. E poi strada facendo ai fotografi non food planetariamente conosciuti. Insomma direi che la foto e la cucina hanno questo in comune: non si inventa mai niente, si digeriscono e si assimilano e si ripropongono i lavori degli altri, ma per fare questo ci vuole, comunque, una formazione solida di base e una propria personalità artistica. Quindi io continuo a guardarmi in giro, a cercare ciò che mi piace o meno, e se stimolo altri a fare lo stesso, mi sento ripagata e felice.


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