martedì 17 novembre 2009

Elias Mandreu, Nero riflesso


Un magistrato, un ingegnere meccanico e un dirigente pubblico per un esperimento di scrittura a sei mani, al suo debutto con una storia che inizia con un ritorno: quello del commissario Nero Di Giovanni sulla sua isola, la Sardegna. Piani incrociati, coralità di voci e di stili, una trama poliziesca per raccontare e affrontare temi irrisolvibili come l'immigrazione clandestina, la corruzione negli appalti, le infiltrazioni nel mondo telematico, l'avanzare delle multinazionali. Un collettivo che con lo pseudonimo di Elias Mandreu, firma il suo romanzo d'esordio, Nero riflesso (Il Maestrale, 560 pagg., 19 euro). In questo ritorno non voluto nella sua terra d'origine, il commissario Nero diventa il filtro di voci che credeva ormai lontane, ma che stanno scrivendo i destini di tutto ciò che lo circonda.


Perché un collettivo di scrittura, e quante competenze personali avete miscelato in questa identità?
(Mauro) Credo che più che una miscela di competenze professionali nel nostro lavoro prevalga la miscela di personalità con un minimo comune denominatore: dietro la varietà di personaggi, di stili e scelte narrative ci sono le nostre individualità, le nostre voci, che ci piace camuffare e riconoscere via via nel procedere della storia. Questa è la risposta anche alla domanda che precede sul perché un collettivo di scrittura: non siamo tre scrittori che hanno deciso di fondare una società per azioni. Al contrario l'idea di poter essere degli scrittori è nata in noi mano a mano alla conduzione di un progetto comune, che potrei definire come un gioco che ci ha seriamente appassionato e che siamo riusciti a portare alla fine. Ovviamente in questo nostro "rifletterci" in Nero ci sono le nostre vite, le nostre esperienze e quindi anche le nostre professioni, quella di un magistrato, di un dirigente amministrativo e di un ingegnere, e le nostre rispettive passioni e ossessioni.


La storia come è nata? Da dove arriva Nero Di Giovanni?
(Eugenio) L'idea del romanzo - non solo l'idea narrativa sulla base della quale è stata poi costruita l'intera vicenda, ma l'idea stessa di scrivere il romanzo in tre - è nata per gioco e per scommessa, durante una cena tra amici in cui si parlava di libri letti, di film visti, di lavoro, di politica e altro, ma anche delle nostre vicende personali, come spesso accade in una cena tra amici. A un certo punto il discorso si è spostato sul libro che ci sarebbe piaciuto leggere, sui temi, lo stile, la storia e i personaggi che ci sarebbe piaciuto trovare dentro un nuovo romanzo, e allora ci è venuto in mente di provare a scriverlo noi, un libro del genere. Ora non sappiamo dire se ci siamo veramente riusciti, ma le premesse erano queste: quelle di scrivere un romanzo che mischiasse i generi, gli stili, i temi da noi preferiti. Ma soprattutto un romanzo in cui i protagonisti fossero persone vere, non necessariamente noi o le persone che conosciamo e frequentiamo (anche se alcuni personaggi del libro hanno in effetti i nomi veri di alcuni nostri cari amici), ma certamente personaggi che assomigliassero a noi e alla nostra generazione, quella che sta a cavallo tra i trenta e i quaranta. In un certo senso in questo romanzo è soltanto la storia raccontata ad essere connotata di eccezionalità e di forte drammaticità, ma le persone che la vivono sono assolutamente normali, e in quanto tali in esse ci si può riconoscere facilmente. Nero, in particolare, non ha davvero niente dell'eroe. Riveste un ruolo che gli è stato imposto dagli eventi, ma lo fa con riluttanza e scarsa convinzione, sperando di riuscire ad andarsene il prima possibile dalla città nella quale è stato costretto a tornare. Lui era un funzionario del Ministero dell'Interno e non è mai stato un vero poliziotto prima delle vicende raccontate nel romanzo. Si sente impreparato e inadeguato al ruolo, e ha anche paura che la cosa finisca per risultare evidente agli altri. E infatti nel corso della vicenda la sua insicurezza lo porta a commettere errori di valutazione gravissimi e a lasciare che le sue vicende personali si mischino al lavoro, finendo per mettere in pericolo la vita delle persone che gli stanno vicino. Nero impara a rivestire il ruolo di commissario di polizia durante lo svolgersi della vicenda, e in un certo senso si può dire che via via diventa più forte delle sue debolezze. Difficile dire poi se assomiglia ad altri suoi colleghi letterari o cinematografici. In fondo anche noi dobbiamo ancora imparare a conoscerlo bene. Però ci piacerebbe continuare a frequentarlo, ecco. È un tipo dal carattere difficile, ma potrebbe valerne la pena.


Uno scenario criminale complesso, piani narrativi e di indagine che si sovrappongono, un’impostazione movimentata che è espressione della coralità da cui si è generata. In tutto questo, è venuta prima la storia o la ricerca di uno stile?
(Andrea) Decisamente è venuta prima la storia. O, per dirla tutta, "le storie". Quando abbiamo iniziato a lavorare su Nero riflesso, avevamo giusto qualche idea di base sull'intreccio. C'era Nero che tornava in città, c'era una serie di omicidi, un passato da chiarire e poco altro. Tutto il resto è nato per strada, e sulle prime ognuno di noi ha scritto per un pubblico costituito dagli altri due. Ci siamo divertiti (tantissimo!) a stupirci a vicenda, ad introdurre nuovi incroci e nuovi personaggi. Questo credo contribuisca a dare una sensazione di coralità al romanzo, che diventa una sommatoria di tante piccole storie personali. Abbiamo voluto raccontare una collettività, una città, ispirandoci con molta libertà alla realtà provinciale da cui veniamo, ma senza caratterizzarla troppo, perché la città di Nero diventasse la città di tutti i lettori, e non il nostro personale luogo delle memorie. Naturalmente questa prima fase di jam-session, di improvvisazione, ha dovuto cedere il passo ad una pianificazione più di dettaglio, diversamente sarebbe stato impossibile arrivare ad un finale sensato in cui tutte le sottotrame si chiudono e le incognite si sciolgono. Per fare questo siamo passati dal modello del Bazar a quello della Cattedrale: abbiamo scritto una lunga sceneggiatura in cui tutti gli eventi venivano raccontati in dettaglio, cercando quanto possibile di incastonare i pezzi già scritti. Ci siamo suddivisi le parti mancanti, arrivando così a concludere la prima stesura di Nero riflesso. È chiaro che alla fine lo stile è venuto come conseguenza di questa stratificazione di scrittura, anche se le nostre comuni letture hanno sicuramente avuto il loro peso. Siamo tutti e tre lettori voraci ed onnivori, abbiamo letto ed amato tutti i capisaldi del noir, da Scerbanenco a Ellroy, da Fruttero & Lucentini sino a Chandler ed Hammet e sicuramente ne sto dimenticando qualcuno. Ciononostante non siamo lettori monotematici, di genere, né aspiriamo a diventare scrittori di settore. Per questo direi che abbiamo usato consapevolmente il noir (e volendo anche i suoi cliché e convenzioni) come uno strumento, come mezzo per raccontare una storia, e non come fine ultimo della narrazione, ma allo stesso modo ci abbiamo infilato dentro molti altri registri.

(Le foto sono di Simona Soro, tratte dall'album I luoghi di Nero riflesso)

Nessun commento: