domenica 21 dicembre 2008

Richard Price, La vita facile


Un libro che inizia con un omicidio e finisce con la soluzione di un'indagine, ma che tra la prima e l'ultima pagina racchiude un mondo, raccontato con la padronanza di chi in mezzo a quella gente ci è cresciuto. Il Lower East Side in cui il newyorkese Richard Price ambienta La vita facile (Giano, 512 pagg., 19 euro) è l'ex quartiere di sbarco degli immigrati, il quartiere ebraico, oggi protagonista di una globalizzazione solo apparente, dove ogni gruppo etnico continua a non contaminarsi con gli altri, ma nel quale i prezzi delle consumazioni sono lievitati a vista d'occhio grazie ai nuovi locali alla moda. 
Questo libro si può definire un poliziesco?
"In buona parte sì, ma c'è anche la storia di un luogo che esiste, un luogo dell'anima fatto di persone che si parlano senza mai riuscire a spiegarsi. Il mio obiettivo era descrivere un quartiere, uno dei più importanti degli Stati Uniti, dove sono nati Little Italy, Cinatown e la parte ebrea, dove sbarcavano gli emigranti che subito volevano fuggire da lì, andarsene. Qui è iniziata anche la storia della mia famiglia, un secolo fa. Partivano tutti da lì, facendo i lavori più umili, e ora si arriva a pagare cinque dollari per un gelato. Oggi i giovani conoscono i bar alla moda di questa zona, e non i fantasmi che portano ancora nel sangue dopo tante generazioni. Io ho cercato questi mondi: ebrei, ortodossi, cinesi clandestini. Tutti mondi che condividevano lo spazio, ma che non si vedevano mai tra di loro. Solo in alcune ore della notte questi mondi si incrociano, quando i ragazzi escono per andare a divertirsi, o quando arrivano i neri a rapinare i bianchi ricchi".
Cosa scatena l'omicidio da cui parte il libro?
"Un equivoco linguistico. C'è una rapina, c'è un ragazzo con una pistola e un altro che lo provoca, e poi tutto viene descritto come un suicidio. Questa è una New York universale, una babele comunicativa con una incapacità di dialogo di fondo. E' una condizione tipicamente americana, ma allo stesso tempo fondante, che si ritrova nelle metropoli europee. In questo contesto, il razzismo diventa come l'influenza, come qualcosa da cui chiunque può essere contagiato, persino io".
Che ruolo hanno la sonorità e il ritmo della narrazione?
"Sono aspetti molto importanti, perché io sono uno scrittore che cerca di introdurre nel suo narrare i ritmi di James Brown, quelli di un ballerino, di un giocatore di basket. Cerco di trovare i ritmi giusti per la storia e di scrivere frasi che non sono mai state scritte. Ad ogni pagina mi sento come un pugile che ha l'allenatore nell'angolo del ring, e che lo sprona di continuo ad andare avanti".

Evocato da Price, eccolo qui

Nessun commento: