venerdì 5 settembre 2008

Giordano, La solitudine dei numeri primi

A dire la verità non avevo molta voglia di leggerlo, come ogni libro di cui si parla troppo e che ti sembra già di conoscere senza averlo nemmeno aperto. Anche la storia, riassunta sulla quarta di copertina, non mi pareva nelle mie corde. Mi ha convinta a dargli un'occhiata una delle mie libraie di fiducia, una di quelle che scelgono ancora di persona i titoli da tenere in negozio, e che ogni mese fanno la classifica dei libri consigliati, che conoscono i tuoi gusti e le tue curiosità.
Così ho deciso di concedere a La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano (Mondadori, pagg. 304, 18 euro) il bonus delle prime trenta pagine. Nel giro di un pomeriggio sono arrivata alla fine, letto in un botto. Perché la scrittura è fluidissima, la costruzione narrativa ben articolata e senza nulla di inutile, la storia non è mai patetica, nonostante i due protagonisti ne abbiano tutte le potenzialità. Il libro è bello, non c'è niente da dire. Non solo: nelle ultime dieci righe c'è tutta la potenza delle trecento pagine che le precedono. Un esordiente giovanissimo che alle spalle ha una formazione scientifica e non umanistica, e che affronta la narrativa partendo da questi livelli, effettivamente non è cosa da tutti i giorni. Da questo suo trascorso formativo, Paolo Giordano pesca il concetto che disegna lo scheletro della storia: quello dei "numeri primi gemelli", separati da un solo numero pari, vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero. Una condizione che ci appartiene così profondamente, da non dover nemmeno essere commentata.

Ancora tempo orrendo, non trovo musica che possa conciliare questa lettura con un'atmosfera così noiosa. Meglio questa considerazione tratta da uno degli ultimi saggi sulla lettura di Alberto Manguel: "Per il lettore ideale è possibile leggere ogni libro, in una certa misura, come la propria autobiografia".



1 commento:

elisabettabucciarelli ha detto...

concordo... come sempre.
liz